Affidamento in prova anche per condanne minime: la cassazione afferma no al carcere

E’ legittimo l’affidamento a una misura alternativa al carcere anche per chi deve scontare una condanna minima o un residuo di pena non superiore a tre anni.

Lo ha stabilito la Prima Sezione della Corte di Cassazione:

“Un’istanza di affidamento in prova al servizio sociale non può essere rigettata sul mero rilievo della breve durata della pena da espiare”.

La misura alternativa, finalizzata a evitare il ricorso allo strumento carcerario per la finalità rieducativa, può essere concessa se ritenuta utile a favorire il concreto reinserimento sociale del condannato e ad assicurare la prevenzione del pericolo di recidiva.

affidamento in provaUna valutazione – si legge nella sentenza – che deve essere compiuta tenendo conto del comportamento tenuto successivamente al reato e alle condizioni di contesto personale e socio ambientale del condannato. Il pronunciamento nasce dopo la decisione del Tribunale di sorveglianza di Genova di rigettare una richiesta di affidamento in prova di un detenuto, motivando la sentenza in base alla brevità della pena residua. Detto in termini più elementari, l’affidamento in prova è stato negato perché il periodo da espiare in carcere è stato ritenuto breve e quindi la misura inutile ai fini rieducativi. La Cassazione ribalta la decisione affermando invece che proprio le misure alternative sono state introdotte nell’ordinamento penitenziario – a prescindere dalla brevità del periodo di carcerazione – proprio per favorire il percorso di risocializzazione. Certo molto dipende anche dalla tipologia del reato e soprattutto dallo stato di incensurato del soggetto prima della condanna. La debolezza della sentenza del tribunale di sorveglianza di Genova, infatti, riguarda l’omissione di queste “attenuanti”, basata esclusivamente sul principio della brevità del periodo detentivo, non codificato in nessuna disposizione in materia di misura cautelare alternativa.

Principio di ragionevolezza

“Si tratta di un principio di ragionevolezza – commenta l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, esperto in diritto penale – non sussistendo, in molti casi, un’esigenza di carcerazione così afflittiva nei confronti di soggetti pienamente in grado di ricollocarsi socialmente e di vivere senza inutili traumi restrittivi la propria condizione di detenuti ‘occasionali’. Sono tante le persone che subiscono la propria vicenda giudiziaria come episodio isolato della propria vita e che difficilmente rivedranno il carcere. Ecco, questi soggetti, a maggior ragione perché condannati a pene minime e quindi per reati non violenti, meritano una tutela in più rispetto alla reale pericolosità della propria condotta sociale”.