Autoriciclaggio: i limiti della clausola di non punibilità

Tra i tanti temi giuridici di cui si occupa il nostro studio legale – spiega l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, esperto penalista in diritto internazionale – ci sono soprattutto quelli riguardanti la complessa interpretazione del reato di riciclaggio e autoriciclaggio, su cui tanto si dibatte in questi anni sia a livello legislativo sia a livello strettamente giuridico. La seconda sezione di cassazione ha emesso lo scorso 7 giugno 2018 una sentenza che reinterpreta e in un certo senso ridimensiona la cosiddetta “clausola di non punibilità” prevista nel quarto comma dell’articolo 648 ter. 1 (riciclaggio e autoriciclaggio), definendo dunque un’aggiornata prospettiva per la formulazione delle nostre tesi difensive.

Si tratta di una clausola che esclude la responsabilità penale nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità di provenienza illecita vengano destinate “all’utilizzazione diretta o al godimento personale” dell’indagato, rendendo dunque facilmente tracciabile l’identificazione della condotta delittuosa.

Il caso della clausola di non punibilità

Il caso citato nella sentenza è quello di un imprenditore condannato per bancarotta fraudolenta patrimoniale che aveva proposto ricorso per Cassazione contro il decreto (rigettato in fase di riesame) di sequestro preventivo della sua azienda. La difesa aveva contestato la non configurazione del reato di autoriciclaggio in quanto il denaro provento del delitto era stato utilizzato per estinguere un finanziamento privato e quindi per adempiere a una legittima e personale obbligazione.

AutoriciclaggioIl tribunale invece accertò che una parte del denaro distratto dalla società fallita (proveniente da un conto corrente monegasco) era stato utilizzato per la cancellazione dell’ipoteca su un immobile, successivamente ceduto per un importo di 2.350.000, 00 euro (finanziati da un’anonima società panamense).

Motivazione della sentenza della Cassazione

La seconda sezione penale di cassazione ha aderito alla tesi secondo cui – posta l’integrità in tutti i requisiti della condotta criminosa – risulti del tutto indifferente il fatto che l’imprenditore abbia utilizzato il bene di provenienza illecita per la copertura di un debito personale. Le manovre finanziarie eseguite dall’imputato sono state poste in essere proprio allo scopo di ostacolare la tracciabilità del flusso di denaro illecito e dunque il principio di diritto che ne consegue è il seguente:

“La clausola di non punibilità si applica solo e soltanto quando l’agente utilizzi e goda dei beni proventi di delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza”.