Reati tributari: la compatibilità del regime prescrizionale

Nell’ambito dei rapporti fra l’ordinamento dell’Unione Europea e l’ordinamento interno si è registrato un problema di forte entità, che ha riguardato la compatibilità del

regime prescrizionale dei reati tributari.

Prima di analizzare compiutamente la questione, sembra opportuno far luce sulle tematiche sottese che hanno rimarcato le divergenze tra diritto interno e sovranazionale, ripercorrendo le tappe giurisprudenziali segnate da due pronunce da parte della Corte europea fino alla sentenza battezzata  come “Taricco 2” .

La questione trae origine dal rinvio operato dal Tribunale di Cuneo nel corso di un procedimento penale per i delitti di cui agli artt. 416 c.p., 2 e 8 d.lgs. 75/2000, contestati a sette persone per aver costituito un’associazione a delinquere finalizzata all’evasione di imposte IVA per diversi milioni di euro.

I reati in questione sono assoggettati al termine prescrizionale previsto dagli artt. 160 e 161 del c.p., ragione per cui, rilevata la complessità delle indagini per siffatti delitti, il termine prescrizionale è destinato a scadere prima che si addivenga ad una sentenza definitiva. Pertanto, il Tribunale di Cuneo ha manifestato dubbi sulla conformità di tali disposizioni con l’obbligo di assicurare l’attuazione del diritto eurounitario.

La Corte di Giustizia con sentenza dell’8 settembre 2015 ha dichiarato l’incompatibilità della normativa italiana, con riguardo alla prescrizione del reato, con l’art. 325 del TFUE, nella misura in cui impedisce un efficace e dissuasiva lotta ai crimini fiscali ovvero alle “gravi violazioni fiscali”.

In particolare, la Corte ha precisato che la lotta alle frodi fiscali impone agli Stati membri di utilizzare gli stessi strumenti adottati per combattere i casi di frode che ledono i medesimi interessi finanziari nazionali.

Ciò posto, il giudice nazionale in riferimento alle frodi IVA è tenuto alla disapplicazione degli artt. 160 e 161 del c.p., e per l’effetto troverà applicazione il regime di prescrizione senza il tetto massimo.

Il nodo della questione da cui ha tratto le mosse l’ordinanza di remissione prima alla Corte Costituzionale e poi alla Corte Europea, risiede nel rispetto dell’art. 25, co.2, sotto un triplice aspetto.

Da un primo punto di vista, viene in rilievo il principio della riserva di legge, risulta infatti di dubbia costituzionalità una modificazione della disciplina legale in malam partem per effetto di una disapplicazione imposta dall’esigenza di offrire attuazione all’art. 325 TFUE.

In secondo luogo, viene in esame una violazione del principio di determinatezza, vista la vaghezza dei parametri guida individuati dalla Corte di Giustizia (“gravi violazioni fiscali”), in virtù dei quali il giudice nazionale è tenuto alla disapplicazione degli artt. 160 e 161 c.p.

In ultimo risulta inficiato il principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli, in virtù dell’applicazione di un termine prescrizionale più lungo di quello in precedenza previsto.

Il principio di diritto scolpito nella sentenza Taricco 1.

regime prescrizionale dei reati tributariSul punto sia la Cassazione che la Corte di Appello di Milano hanno rimesso la questione di legittimità della legge di ratifica del TFUE alla Corte Costituzionale, al fine di verificare la compatibilità del principio fotografato dalla Corte di Giustizia con il principio di legalità, ed invitato, quindi, la Corte Costituzionale ad attivare i contro-limiti dell’ordinamento interno.

Ciò posto, la Consulta ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale riguardante l’art. 325 del TFUE, al precipuo fine di stabilire se la disapplicazione dei termini di prescrizione previsti dagli artt. 160 e 161 c.p. debba essere attuata anche in assenza di una base legale determinata ovvero anche quando la prescrizione ha natura giuridica di diritto penale sostanziale e sia in contrasto con i principi costituzionali riconosciuti dallo Stato membro.

La Corte di Giustizia interviene con la “Taricco 2” ovvero con la sentenza del 5 dicembre del 2017, accogliendo i principi prospettati dalla Corte Costituzionale. In particolare, la Corte precisa come l’obbligo di tutelare gli interessi comunitari, previsti dall’art. 325, deve essere conciliato con il principio di legalità dei reati e delle pene. Pertanto, in caso di frodi IVA gravi, i giudici non sono tenuti a disapplicare le norme sulla prescrizione se si pongono in contrasto con il principio di legalità.

La Corte dunque pur accogliendo l’esigenze prospettate dai giudici nazionali, ribadisce comunque il dovere da parte degli Stati membri di combattere in maniera efficiente le frodi IVA, lasciando maggiore libertà nel raggiungimento del risultato ed esaltando il rispetto del principio di legalità.