La legittima difesa: concetto di sicurezza personale come diritto protetto

Il tema politico giuridico su cui si sta discutendo con maggiore insistenza dopo l’elezione e l’insediamento del nuovo esecutivo firmato Di Maio-Conte-Salvini, riguarda le prospettive e i possibili effetti a livello costituzionale ed europeo del concetto di sicurezza personale come diritto protetto (vedi l’articolo legittima difesa, interpretazioni normative).

“Il fatto che in Italia e in Europa – spiega Alexandro Maria Tirelli, avvocato  cassazionista per International Lawyer Associates – il diritto alla sicurezza individuale sia inteso a livello sovra-legislativo come il diritto di essere protetti dagli abusi dell’autorità non significa che, nelle stesse aree, non possa esistere un diritto alla sicurezza privata, concepita come il diritto di essere protetto dal crimine”.

Come è strutturato il sistema di sicurezza individuale nel sistema politico italiano?

Oggi in Italia è difficile riconoscere l’esistenza di “obblighi costituzionali di incriminazione”; vale a dire, il dovere del legislatore di addebitare come reato – sempre e comunque – alcuni atti lesivi di diritti legali di primaria importanza. A livello costituzionale non è chiara la sussistenza di un diritto alla sicurezza individuale di fronte al crimine e le implicazioni pratiche di un eventuale diritto sono tutt’altro che pacifiche; il problema della sicurezza sta diventando uno dei principali argomenti della politica italiana, tanto è vero che la crescente tendenza del governo nazionale a catturare consenso popolare sta avviando un iter legislativo di giustizia sommaria che comprende, tra i tanti temi in discussione, anche la riforma della legge sulla legittima difesa.

Secondo l’ultimo sondaggio realizzato dall’Ipsos di Nando Pagnoncelli per il Corriere della Sera, il 51% degli intervistati ritiene infatti “indispensabile cambiare le norme e legittimare sempre e comunque il diritto alla difesa personale”.

Insomma, non una novità: la sicurezza è tema ed esigenza che sta sempre più a cuore agli italiani, tanto che il 25% della popolazione cita spontaneamente la sicurezza quale priorità su cui il governo dovrebbe mettere mano.

La riforma sulla legittima difesa

Le discriminanti previste per il codice penale sono tre: l’esercizio del diritto, lo stato di necessità e la legittima difesa. Giudizialmente ne andrebbe inserita una quarta: la difesa armata nello spazio domestico e aziendale. Una volta resa oggettiva la norma, sotto forma di legge da inserire nel codice di procedura penale eviteremmo anche la costituzionalità di parte civile ed evitare decine di processi inutili. Il diritto su cui si basa la società moderna è il diritto di proprietà. Nelle società anglosassoni, tipo quella statunitense, è addirittura il primo principio, non solo per quanto riguarda la sfera patrimoniale ma anche della personalità. In Italia a partire dal ’48 i costituenti hanno sempre ritenuto questo principio rilevante solo fino a quando il principio non si scontra con l’interesse del bene comune e dello Stato. Bisogna fare un passo indietro e considerarlo un diritto primario come negli Usa.

La domanda di sicurezza, però, intesa come priorità politica, è legato a un altro tema: l’immigrazione e gli effetti sulla sicurezza stessa dei cittadini migranti

Già nel preambolo del Trattato UE41 si afferma la volontà di “favorire la libera circolazione delle persone, garantendo la sicurezza dei loro popoli, con l’istituzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”. Nel testo è ben compreso che una tale forma di sicurezza deve essere assicurata non solo di fronte alle istituzioni, ma anche di fronte alla criminalità; la politica sulla sicurezza punta sia al “rafforzamento della sicurezza all’interno del sistema dell’Unione Europea in tutte le sue forme” sia il “rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali”, al fine di garantire il diritto fondamentale contro ogni le forma di aggressione.

L’obiettivo è garantire a tutti i cittadini dell’Unione Europea un alto livello di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione comune nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia investigativa. Ma per prevenire e sopprimere il crimine comune e il crimine organizzato c’è bisogno di un efficace sistema di coordinamento tra le forze di polizia e gli organi giudiziari di tutti gli Stati membri.

Sicurezza contro il crimine come oggetto di politica comunitaria

Come è stato detto, in Italia la costituzionalizzazione del diritto alla sicurezza di fronte alla criminalità è tutt’altro che certa. Altrettanto pericolosi sono gli effetti che una costituzionalizzazione simile produrrebbe nella sfera criminale.

D’altra parte la crescita progressiva della richiesta di sicurezza è dovuta a molteplici cause, tra le quali l’aumento stesso dei fenomeni criminali e l’uso delle nuove tecnologie che le organizzazioni utilizzano per aggirare le operazioni di indagine. La maggiore percezione del rischio criminale si avverte soprattutto attraverso i media, che riservano ampio spazio alla cosiddetta “cronaca nera”.

I fattori di rischio percepiti dai cittadini sono la perdita di una condizione di benessere, un approccio fatalistico alla vita e la non accettazione del ruolo di vittima. Le pressioni dell’opinione pubblica è rivolta al contrasto di reati che suscitano vero allarme sociale ed è chiaro che il potere politico e il potere dei media orientano il proprio interesse verso tipologie criminali molto precise.

Dove il requisito di sicurezza collettiva diventa emergenza, sia in Italia che in qualsiasi altro paese democratico, le forze politiche hanno tutto l’interesse a fornire risposte – almeno apparentemente – soddisfacenti per aumentare il proprio consenso sociale. Anche alle forze politiche di opposizione conviene cavalcare l’onda di richiesta di sicurezza, sia per individuare e suggerire nuove riforme penali sia per incalzare politicamente i governi in caso di mancanza di risultati. Si afferma così una “politica di sicurezza anti-crimine” che tende a perseguire la “prevenzione integrativa generale” del crimine (in senso assoluto).

In Europa, le esigenze della politica criminale non sono limitate alla sola competenza degli Stati e un ruolo sempre più importante è attribuito a due organizzazioni internazionali: il Consiglio d’Europa e, soprattutto, l‘Unione europea.

Consiglio d'Europa e livello di sicurezzaIl Consiglio d’Europa – come noto – è un organismo nato dopo la seconda guerra mondiale in risposta alla necessità di rafforzare i legami tra i paesi del vecchio continente, al fine di evitare la ripetizione di conflitti causati principalmente da intolleranza reciproca e dal contrasto tra gli Stati dopo la fine del Nazifascismo. L’obiettivo finale è quello di “realizzare un’unione più stretta tra i suoi membri, per salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che costituiscono il loro patrimonio comune e promuovere il loro progresso economico e sociale “; Questo obiettivo deve essere perseguito “con accordi e azioni comuni nel campo economico, sociale, culturale, scientifico, legale e amministrativo; in questo modo il Consiglio d’Europa è d’accordo per aumentare il livello di sicurezza nello spazio europeo, portando e rendendo compatibili i regolamenti penali interni del settore, procedimenti penali e penali”.

La politica criminale italiana in materia di sicurezza. In particolare, la lotta “selettiva” contro le forme di macro-criminalità.

Come accennato in precedenza, la questione della sicurezza tende sempre più a condizionare il dibattito parlamentare e le decisioni politico-criminali in Italia. In realtà non è un fenomeno nuovo, poiché la nostra “democrazia di opinione” è stata a lungo particolarmente sensibile alle aspettative dei cittadini. In particolare, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, alcuni fenomeni criminali hanno assunto dimensioni tali da generare un grande allarme sociale e attivare una “domanda di sicurezza” sempre più urgente. Si riferisce, da un lato, all’aspetto invasivo di forme di criminalità organizzata sempre più agguerrite dall’altro alla crescita esponenziale del cosiddetto “crimine di strada” nelle sue varie manifestazioni.

Il terrorismo

Agli inizi degli anni ’70 in Italia il fenomeno del terrorismo si è manifestato in due diverse versioni: quello “nero” eversivo di stampo neofascista e quello “rosso” armato di chiara ispirazione marxista-leninista. Entrambe le varianti del fenomeno si sono concretizzate con l’attacco sistematico alla sicurezza dello Stato e dei singoli cittadini.

Criminalità organizzata e cellule di anti Stato

La criminalità organizzata di tipo mafioso – un vero e proprio anti-Stato (o Stato alternativo) – ha trovato forme di rafforzamento proprio negli anni ’70, quando ha potuto sfruttare il vuoto investigativo lasciato dalle procure e dalle forze di polizia alle prese con l’emergenza terrorismo. Nel giro di pochi anni cinque grandi blocchi di altissimo profilo criminale con diramazioni anche oltre i confini nazionali e continentali (Cosa Nostra in Sicilia, la Nuova Camorra Organizzata e la Nuova Famiglia in Campania – a partire dal 1980, dopo il terremoto in Irpinia e lo stanziamento di un enorme flusso di denaro per la ricostruzione – la ‘Ndrangheta calabrese, la Sacra Corona Unita e la Mafia Garganica in Puglia) hanno cominciato a conquistare sempre maggior peso politico, realizzando una serie di attentati dimostrativi ai danni di magistrati e sindacalisti e di faide interne che ne certificano ancora oggi la spaventosa potenza militare ed economica.

Tuttavia, l’allarme sociale causato da queste forme di criminalità ha favorito l’adozione di riforme legislative di natura marcatamente preventiva e repressiva, non prive di efficacia come l’adozione di norme carcerarie durissime, il cosiddetto Articolo 41 bis, introdotto nella legge Gozzini (1986). E’ chiaro che in nome della sicurezza nazionale è emerso un progressivo imbarbarimento della legge punitiva, una sorta di “male minore” o “male necessario” in vista del “bene supremo” della sicurezza: l’utilizzo robusto della detenzione preventiva, il trattamento carcerario contro i mafiosi irriducibili e le agevolazioni carcerarie e giudiziarie per i collaboratori di giustizia (i cosiddetti pentiti, non sempre attendibili e dalle accuse difficilmente riscontrabili), sono norme ancora considerate al limite della legittimità costituzionale.

Organizzazioni minori

Tra i fenomeni criminali più frequenti non manca in Italia la proliferazione di bande armate di carattere regionale e metropolitano (indipendenti o del tutto estranee a logiche di tipo familistico-territoriale) che hanno preso il largo soprattutto nelle grandi città del centro Nord. Si tratta di “associazioni temporanee di impresa criminale” – parafrasando una definizione del lessico economico aziendale – federate tra di loro al fine di commettere reati specifici e occasionali: traffici di droga e armi, commercio di materiali illegali o merce contraffatta, sfruttamento della prostituzione, sequestri di persona. Le più celebri consorterie di questo tipo sono nate negli anni ‘70/80,La Banda della Magliana come la Banda della Magliana a Roma, la Mala del Brenta tra Padova e Venezia, l’Anonima Sequestri in Sardegna e la Ligera milanese. A livelli più estesi abbiamo assistito anche alla nascita di organizzazioni criminali provenienti dall’est europeo o ad associazioni a delinquere dedite a reati più complessi e specifici come il commercio illegale di organi per il trapianto, il traffico illegale di reperti archeologici o la distribuzione e la fornitura di sostanze dopanti non a norma.

L’articolo 41 bis e i reati dei colletti banchi

Tuttavia, come è già avvenuto per quanto riguarda i reati di terrorismo e mafia, in Italia ciascuna di queste forme di criminalità organizzata ha determinato decisioni o prassi normative che non sempre hanno offerto un indirizzo chiaro in termini di nocività o di offensività (crimini di aggressione, pericolo astratto, disobbedienza formale o pura finalizzata ad attaccare la semplice personalità dell’autore o il suo stile di vita).

Con l’inasprimento delle sanzioni il dibattito politico sul sistema giudiziario ha dovuto affrontare nuovi temi come il principio di proporzionalità della pena in nome del primato della “sicurezza contro la criminalità” e il basso livello di garantismo in materia di difesa giudiziale.

In ogni caso, in Italia ci sono eccezioni sorprendenti al già menzionato approccio alla lotta finale condotta dal legislatore – in nome della sicurezza – contro le varie forme di criminalità organizzata. L’interesse si è via via spostato verso forme di criminalità organizzata nei settori dell’economia e della politica; settori che molto spesso si intersecano dando vita a fenomeni criminali fraudolenti e corruttivi nel mondo degli affari e nell’esercizio delle funzioni pubbliche. Esempi concreti si sono verificati in Italia nel 1992 con la famosa inchiesta Mani Pulite (detta anche Tangentopoli), quando un pool di magistrati della procura di Milano ha scoperchiato un sistema illegale di fondi neri per il finanziamento illegale dei partiti politici e il condizionamento nell’assegnazione degli appalti pubblici.

Gli osservatori e gli analisti politici, nel corso dell’ultimo trentennio, hanno però riscontrato una serie di debolezze in questo sistema repressivo circa la “discrezionalità” dell’azione penale della magistratura. Un libro ancora aperto.

Conclusioni

In tutti i momenti in cui l’allarme sociale suona forte contro le forme di delinquenza particolarmente pericolose per le istituzioni, la collettività e gli individui, il “diritto alla sicurezza di fronte ai poteri pubblici” tende a passare in secondo piano, cedendo il passo al “Diritto alla sicurezza contro il crimine”. Con ciò, il concetto originale di sicurezza come limite ai diritti e alle libertà individuali viene ripristinato. Spesso – a posteriori – ci si rende conto che, nel tentativo di dar vita a una “legge penale anti criminale” davvero efficace, i limiti introdotti quelli che rappresentano un reale allarme sociale.

In un’ottica di sicurezza collettiva le opinioni sono ovviamente discordanti. Un sistema giudiziario che non favorisce una verità storica e processuale, definitiva e indiscutibile dei fatti mette in discussione il principio stesso della democrazia e la ricerca di istanze di mediazione da punti di vista diversi.